“Ecco un’altra delle nostre paure: che la vita potesse rivelarsi diversa dalla letteratura.”
Julian Barnes, Il senso di una fine
Fuori piove, dentro pure. L’altra notte, leggendo Gratitudine di Oliver Sacks (in Italia per Adelphi), mi sono commossa e ho fatto piovere anche sul divano. Non ho ottant’anni, non sto per morire (forse), non sono un uomo, non sono gay e nemmeno ebrea, eppure come si fa a non rispondere emotivamente alla sincerità di questo narratore? Anche quando l’identificazione personale è al minimo, ci si interroga (come sarò alla stessa età? Penserò lo stesse cose? Ci sarò, almeno?), si pensa alle persone a cui si vuole bene, al futuro e al passato e al presente che plasma e significa entrambi.
“I am sorry I have wasted (and still waste) so much time; I am sorry to be as agonizingly shy at eighty as I was at twenty; I am sorry that I speak no languages but my mother tongue and that I have not traveled or experienced other cultures as widely as I should have done. I feel I should be trying to complete my life, whatever “completing a life” means. […] Over the last few days, I have been able to see my life as from a great altitude, as a sort of landscape, and with a deepening sense of connection of all its parts. This does not mean I am finished with life. On the contrary, I feel intensely alive, and I want and hope in the time that remains to deepen my friendships, to say farewell to those I love, to write more, to travel if I have the strength, to achieve new levels of understanding and insight. This will involve audacity, clarity, and plain speaking; trying to straighten my accounts with the world. But there will be time, too, for some fun (and even some silliness, as well).”
Non comprare manuali di auto-aiuto o libri motivazionali: leggi queste cinquanta pagine di Sacks, che ti offre anche un bonus delizioso, ovvero cosa c’entrano gli anni che hai con la tavola periodica degli elementi.
Continuiamo con cose serie: la grammatica. Hai mai sentito parlare di quella valenziale? Io pensavo fosse una cosa comunissima, dato che l’ho studiata per imparare la lingua latina, e invece sembra proprio di no. Al liceo l’ho quasi sempre trovata superflua, però nel corso degli anni mi sono accorta di quanto e come abbia influenzato il modo in cui correggo manoscritti. Ne parla Daniele Scarampi sul sito Treccani, così nel caso puoi ripassare o imparare qualcosa di nuovo.
La seconda cosa seria riguarda rappresentazione e inclusività dell’ambiente letterario (tra le altre cose). Lorraine Berry, docente di scrittura creativa, per LitHub scrive l’articolo “Ecco come il classismo letterario sta impoverendo la letteratura” (tradotto da Francesco Graziosi per il blog di Edizioni Sur), sta parlando degli Stati Uniti, certo, ma non è che le cose siano molto diverse in Italia.
E il problema, aggiungo, non riguarda soltanto la scrittura e la letteratura, ma l’editoria tutta. Quante possibilità ha il figlio di un operaio, oggi, di diventare l’editor o il direttore della narrativa italiana e straniera di uno dei grandi gruppi editoriali? Avrebbe le stesse occasioni e possibilità di chi può permettersi (senza indebitarsi) un soggiorno a Milano, o svariati stage non pagati a Roma, o il Master della Fondazione Mondadori, o la Scuola Holden?
“Uno degli argomenti più forti a sostegno della creazione di un ambiente letterario più eterogeneo riguarda le persone che stanno ai margini. Se una bambina americana di origini messicane cresce con il sogno di diventare poetessa, che succede quando guarda ogni anno i vincitori dei premi e non vede nessuno che le assomigli? Può un ragazzo afroamericano aspirare a diventare un saggista da premio Pulitzer se non sa che in giro c’è qualcuno come lui? Direi che lo stesso vale per i bambini proletari, specie quelli che vivono in famiglie più preoccupate di come sfamarsi che di andare a sentire una sinfonia, famiglie che vedono le arti come un’attività esclusiva dei ricchi (come faceva mio padre, proletario e immigrato).”
Poi, qualcosa di più prosaico. Ho scritto un nuovo poema in esametri dattilici per spiegare come ci si comporta online quando si è scritto un libro e lo si vuole promuovere bene. Essendo un poema, è lungo, ma da qualche parte potresti trovare cose utili per migliorare la tua presenza online o la spiegazione del perché Achille nell’Iliade è fichissimo nonché il mio personaggio preferito anche se con questa cosa dell’hybris ha(nno) forse esagerato.
Infine, ho riproposto su Medium la mia breve riflessione sul prezzo degli e-book. Ho avuto modo di parlarne ancora online – Twitter e Facebook soprattutto – e sono emerse argomentazioni molto interessanti, quindi se vuoi approfondire leggi i miei “appunti sul digitale in Italia”.