“Socrate: Guarda e ascolta.
Fedro: Non sento niente. Non vedo gran che.
Socrate: Forse non sei abbastanza morto. Qui è il limite del nostro reame: davanti a te scorre un fiume.”
Paul Valéry, Tre dialoghi
Gli e-book sono stupidi, ha detto Arnaud Nourry, colletto bianco di Hachette Livre (il terzo più grande editore di libri trade al mondo), all’inizio dello scorso anno. Sono stupidi perché sono come i libri di carta: non c’è stato alcun miglioramento, e gli e-book non si sono mai trasformati in un’esperienza digitale completa.
Qualche tentativo c’è stato, ma le case editrici hanno fatto un pessimo lavoro, con questa storia della rivoluzione digitale: “Ci abbiamo provato. Abbiamo provato con i libri migliorati e i libri arricchiti – non ha funzionato. Abbiamo provato app e siti coi nostri contenuti – ci sono stati uno o due successi in mezzo a centinaia di fallimenti. Sto parlando dell’industria intera. Non ce la siamo cavata molto bene”.
E poi un’ammissione di colpa: “Sono convinto che ci sia qualcosa, oltre gli e-book, che possiamo inventare usando i nostri contenuti e le proprietà del digitale, ma sono arrivato alla conclusione che nelle nostre aziende manchino veramente capacità e talenti, perché gli editori sono abituati a prendere un manoscritto e creare un design su una pagina piatta. Non sanno davvero quale sia il pieno potenziale del 3D e del digitale”.
Nourry ha ragione, in parte: Amazon ha dichiarato che le vendite di e-book all’interno del proprio e-commerce sono cresciute tra il 2017 e il 2018, ma negli Stati Uniti e nel Regno Unito il mercato digitale ha smesso di crescere da anni (meno 3.8% dal 2016 al 2017). Le app non hanno mai funzionato, diciamolo, e chi si ricorda i siti web fatti con Adobe Flash? Erano il cavallo di battaglia di GEMS e accompagnavano l’uscita di ogni nuovo bestseller americano, spagnolo o svedese. Ora per fortuna hanno smesso, ma cosa s’inventeranno nel prossimo futuro?
C’è un’altra prospettiva, comunque, per questo “fallimento”.
“Nourry sostiene che non esista una esperienza digitale. Non è questo il punto? Se ha dentro grafica, suoni o animazioni, non è più un libro – è un videogame o un film. Come mentre scrivo sono disconnesso da Internet e in silenzio, così non voglio che i miei libri facciano altre cose. La bellezza di un libro, in un mondo di rumore digitale, sta nella purezza dell’esperienza di lettura – e non c’è niente di stupido in questo” ha scritto Erin Kelly sul Guardian.
È vero, no? Un libro è un libro, anche se è elettronico, e ci piace che sia stupidamente piatto. Che non faccia nient’altro che quello che ha sempre promesso: raccontarci una bella storia, o insegnarci qualcosa. Se il libro del futuro non avesse una forma diversa, allora? Se la rivoluzione dell’editoria digitale interessasse i modi di produzione e di distribuzione ma non l’oggetto?
Avevamo pensato al libro del futuro come a un prodotto interattivo, con immagini, musica e video; avevamo pensato a un lettore del futuro più collaborativo, che avrebbe dovuto interagire con l’e-book e non soltanto premere il dito sullo schermo per girare pagina. L’ePub 3, il formato che prometteva di fare tutto questo e molto altro, però, è rimasto sepolto nel 2011.
Invece del libro, è cambiata l’industria che lo produce, e con essa l’ecosistema che lo tiene in vita (anche se a fatica, ormai). All’inizio del 2016, per esempio, solo il 23% degli e-book venduti da Amazon negli Stati Uniti – cinquecentoventimila come stima approssimativa; Jeff Bezos, come sappiamo, è geloso delle proprie statistiche – è stato pubblicato da una delle big five, ovvero Penguin Random House, Macmillan, HarperCollins, Hachette e Simon & Schuster.
Il 35% appartiene agli autori indipendenti, quelli che scelgono l’auto-pubblicazione non come ultima spiaggia, ma come opportunità per scrivere e pubblicare i libri che vogliono, affiancati da un gruppo di editor, grafici, marketer pagati di tasca propria e non imposti dall’editor. Le medie e piccole case editrici si spartiscono il resto.
Del libro del futuro e del futuro del libro, ma anche del qui e ora, come newsletter, audio e crowdfunding, parla l’articolo The “Future Book” Is Here, but It’s Not What We Expected di Craig Mod.
Postilla
Non è del tutto vero che gli e-book sono identici ai libri di carta, comunque. Già dal layout, è tutto diverso: l’e-book è fluido e non ha una gabbia fissa; si possono cambiare i margini, il font e la sua grandezza, l’interlinea; un dizionario traduce simultaneamente i termini che non conosci; ma soprattutto c’è la meravigliosa funzione ricerca. Sfido chiunque a non giudicarla la più grande invenzione dell’uomo dopo la ruota, Internet e la pizza.
Anche se abbiamo confutato la prima affermazione di Nourry, però, i problemi del digitale rimangono. Ne ho parlato su Medium con l’articolo La strada non presa del digitale in Italia. Sono passati tre anni, ma la situazione non è cambiata (e questo dice già molto, no?).
Cosa ne pensi?