David Foster Wallace non è stato l’unico insegnante di scrittura creativa strano e idiosincratico. Anche Kurt Vonnegut Jr. appartiene di diritto alla categoria.
Ha insegnato all’Iowa Writers’ Workshop dal 1965 al 1967, quando non era ancora il celebre autore di Slaughterhouse-Five, or The Children’s Crusade: A Duty-Dance With Death; era un uomo “a forma di banana”, disse una volta, perché era alto e stava con le spalle curve; fumava con un lungo bocchino nero come Crudelia De Mon e scriveva i “course assignments” sotto forma di lettera.
Suzanne McConnell ha conservato una delle lettere del suo corso Form of Fiction, ovvero lezioni che esaminavano la narrativa dal punto di vista dello scrittore:
30 novembre 1965
Carissima,
questo corso è partito come Forma e Teoria del Romanzo, è diventato Forma del Romanzo, poi Forma e Struttura del Romanzo, quindi Critica Superficiale, o Parlare Senza Muovere la Bocca Come un Vero Duro. Probabilmente diventerà Frugalità Animale 108 quando arriverà febbraio. Come mi fu detto anni fa da un caro, caro amico: “Tieni il cappello. Potremmo ritrovarci a chilometri da qui”.
A proposito dei tuoi elaborati, mi piacerebbe fossero insieme cinici e religiosi. Voglio che adori l’Universo, che ti lasci deliziare facilmente, ma che tu sia anche tempestiva nel reagire davanti a quegli artisti che offendono le tue profonde convinzioni su ciò che l’Universo dovrebbe essere. […]
Passa poi a immaginare di essere un editor, di secondo piano ma utile, in una buona rivista letteraria non legata a un’università. Prendi i tre racconti che ti piacciono di più e i tre che ti piacciono di meno, sei in tutto, e fingi che ti siano stati proposti per la pubblicazione. Scrivi un commento su ciascuno, da sottoporre a un collega saggio, rispettato, spiritoso e disincantato.
Non farlo come un critico accademico, non come un fanatico d’arte, né come un barbaro nel mercato letterario. Fallo come una persona disponibile, che ha un po’ di idee concrete su come i racconti possano funzionare o meno. Loda o condanna a tuo piacimento, ma fallo categoricamente, pragmaticamente, stando molto attenta ai dettagli fastidiosi o gratificanti. Sii te stessa. Sii un buon editor. Dio solo sa quanto l’Universo abbia bisogno di buoni editor.
L’invito era quello di leggere i racconti dell’antologia Masters of the Modern Short Story — con piacere e soddisfazione — e dare a ciascuno un voto “infantilmente egoista”, che misurasse cioè la gioia provata durante la lettura, o la mancanza di essa.
Ma Vonnegut non era interessato ai criteri oggettivi, alle ossa nude della letteratura come John Barth. Nella fase successiva a quella ingenua, infatti, propone un’allucinazione, come la chiama lui; un esperimento mentale.
Immagina di essere l’editor di una rivista letteraria, scegli sei racconti (i migliori e i peggiori, quelli mediocri non sono contemplati e non è un caso) e valutali. Non come un critico, un semplice appassionato o un completo estraneo alla letteratura e all’editoria, però.
L’editor non è nessuna di queste cose: è “sensitive”, dice Vonnegut, che ho tradotto con “disponibile” nel senso della sua apertura verso l’autore e il testo che ha scritto (mi sembrava adatto anche “percettivo”). E questa disponibilità si esplica pragmaticamente: l’editor ha delle intuizioni, che sono pratiche e non teoretiche; riconosce e distingue le storie che possono avere successo da quelle che hanno già un piede nella fossa; è attento ai dettagli gratificanti, fastidiosi o che passano inosservati. A questo punto, il titolo del corso poteva essere anche The Pragmatics of Narrative Fictionality, no?
La lettera, insieme a molte altre, è contenuta nella raccolta Kurt Vonnegut: Letters, edita da Delacorte Press, a cura di Dan Wakefield. Se hai voglia di leggerne un’altra, spassosissima, c’è quella a Richard Gehman, che stava per cominciare a insegnare all’Iowa: “Ogni tanto impazzirai. All’improvviso i campi di granturco ti daranno alla testa”. Un po’ come nell’Illinois di Verso Occidente l’Impero dirige il suo corso.
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