“Per questo mi sono dato alla magia, se mai per forza e bocca dello spirito qualche segreto mi si palesasse, e non dovessi più sudare amaro a raccontare quello che non so, e potessi conoscere nel fondo che cosa tiene unito il mondo, scoprire i semi delle forze attive, non rimestare più tra le parole.”
Johann Wolfgang von Goethe, Faust
Non so quand’è successo, ma a un certo punto fare l’editor è diventato figo, socialmente accettabile, almeno per chi conosce, frequenta o sguazza nell’ambiente letterario.
Il self-publishing ha aiutato: è aumentata la richiesta di servizi editoriali a basso – o bassissimo – costo e sono spuntati come funghi freelance non proprio freelance, scrittori che si convertono al lato oscuro della letteratura per arrotondare, service editoriali di dubbia provenienza e moralità.
L’editoria non è una scienza esatta: non c’è un esame da superare, un albo a cui iscriversi, una laurea da prendere, un corso principe da frequentare. Uno si sveglia, decide che editare si può e lo fa.
I self-publisher, soprattutto all’inizio, vogliono risparmiare, e hanno ragione: non sanno se quello che hanno scritto interessa, non sanno se hanno talento (ma serve per avere successo?), non sanno se la gente è disposta a spenderci soldi, non sanno nemmeno come si pubblica un libro, figuriamoci il resto, e nel frattempo vengono friendzonati dalle case editrici. Ecco che la copertina a dieci, quindici, venti euro diventa molto allettante, come l’editing a cinquanta centesimi, un euro, un euro e cinquanta.
Succede: non la considero concorrenza sleale e non penso che queste realtà amatoriali mi stiano “rubando” clienti, come altri colleghi sostengono. Ci rivolgiamo a un pubblico simile (scrittori), ma con aspirazioni, obiettivi e budget diversi.
Il problema, allora, non sono i servizi a un prezzo ridicolo (si tratta di domanda e offerta e libero mercato, dicono), ma la presentazione che viene fatta degli stessi. Col magico potere delle parole, anche quello che non lo è diventa professionale – mantenendo un prezzo popolare, comunque.
E così diventa difficile distinguere tra professionale e amatoriale, tra be e wannabe, soprattutto per scrittori giovani o alle prime armi che non riescono a cogliere la differenza, a spiegarsi perché c’è una forbice così ampia tra i prezzi proposti.
Un esempio
Quest’autunno ho “conosciuto” un’editor così: giovane e scribacchina, con qualche pubblicazione all’attivo, s’è offerta come beta reader per un romanzo già editato ma non ancora pronto per la pubblicazione.
A distanza di qualche settimana, il file ritorna all’ovile con una nuova, sorprendente revisione: la giovane editor aveva cominciato timidamente – qualche appunto, qualche refuso segnalato – per poi allargarsi come una pozzanghera durante un temporalaccio. Più la lettura proseguiva, più gli interventi diventavano invasivi – e comprendevano alcune riscritture totali. Col suo stile, però.
Quello che mi ha sorpreso di più è stata la mancanza di sensibilità letteraria, che è forse la caratteristica fondamentale che distingue un editor da un controllore semantico e grammaticale. Ha proposto paragrafi che rispecchiavano il suo proprio modo di scrivere, ma che poco si accordavano con quello dell’autore.
Riscrivere è semplice: è la retta che congiunge perpendicolarmente una bozza di manoscritto alla versione definitiva. Editare è difficile: segnare cose che non vanno, correggere errori, suggerire soluzioni, rivedere dialoghi, discutere frasi che non funzionano, non sostituirsi all’autore. Leggere lo stesso libro moltissime volte richiede pazienza, dedizione, attenzione, sensibilità, appunto.
Vedere com’è, e come potrebbe essere, soprattutto. E non si tratta di uno sforzo della ragione ma dell’immaginazione. Instinct, call it, direbbe Gordon Lish. Non ci sono regole, confini, sentieri condivisi da percorrere agevolmente. Non c’è niente di razionale nell’immaginarsi un testo coniugato al futuro, che esiste solo nelle speranze dell’editor.
È per questo che un editing non è mai esclusivo, perfetto, unico. A ogni editing un libro, anche se la bozza di partenza è la medesima.
Ma l’istinto, la sensibilità, la capacità di vedere le qualità dello scrittore e dello scritto non si trovano nel manuale di grammatica o nelle dispense del corso di editoria, non si possono imparare da qualcuno, ma si acquisiscono, forse, con l’esperienza. O forse è un talento naturale, e allora non possiamo che continuare a domandarci se ne abbiamo ricevuto un po’ – noi che facciamo questo lavoro.