“Ci sono mai stati due uomini dall’inizio dei tempi che fossero completamente diversi come lei e me? Lei ha mai conosciuto altre due persone che fossero, in quasi ogni aspetto del carattere, del pensiero, della sensibilità e dell’azione, così lontane?”
Andrew Scott Berg, Max Perkins. L’editor dei geni
Settantanove anni fa, oggi, Thomas C. Wolfe scriveva l’ultima lettera della sua vita, indirizzata all’editor e amico Maxwell E. Perkins.
Quella lettera – stampata e tagliata male – è attaccata con del washi tape floreale al muro del mio studio, a sinistra della scrivania e accanto alle “regole” dello Studio Ghibli. Ogni tanto la fisso, o la rileggo da “Dear Max” a “Yours always, Tom”, e tutte le volte trattengo a fatica le lacrime. È lì da un bel po’, ma la faccenda non è migliorata affatto.
Wolfe è stato l’unico, tra gli scrittori che Perkins ha “coltivato” durante i trentasei anni di lavoro alla Scribner’s, che ha invaso la vita privata (e non solo professionale) del leggendario redattore. Il loro legame era così speciale che non c’era più differenza tra una sfera e l’altra, e forse è stato questo a condannarli.
Quando Thomas dubita di Maxwell, amico, dubita anche dell’editor, Perkins, e dopo la loro collaborazione per Of Time and the River non è più possibile distinguere con chiarezza i sentimenti contrastanti che Wolfe prova. E che talvolta cerca di spiegare nella corrispondenza o nella scrittura, ma che più spesso non ha il coraggio di ammettere nemmeno con se stesso, a causa dell’enorme debito che ha nei confronti di Perkins.
Quello che mi commuove di questa improbabile coppia letteraria (che ha provocato persino la gelosia dell’amante di Wolfe, Aline, e della moglie di Perkins, Louise) è che, nonostante le grandissime incomprensioni, la progressiva sfiducia, la costante amarezza per “quello che poteva essere”, continuano a volersi bene.
In modi diversi, e per motivi diversi, entrambi si sentono traditi, eppure Perkins elogerà e ammirerà sempre il talento di Wolfe, quel genio letterario che l’ha “fregato” alla fine degli anni ’20 – e lasciato impigliato in una relazione travagliata e dolorosa – ma che non poteva ignorare. E Thomas Wolfe, nonostante pensasse che l’asse del mondo passasse per il suo ombelico, alla fine del risentimento e delle insicurezze, sentiva un affetto sincero per Maxwell e una stima profonda per il lavoro che svolgeva.
Non a caso l’ultima lettera, scritta di nascosto, è per lui, non per altri: “I wanted most desperately to live and still do, and I thought about you all 1000 times, and wanted to see you all again”.
Questa storia mi fa male fisicamente. Ho pianto leggendo la lettera, ho pianto leggendo le lettere e la biografia di Perkins, ho pianto scrivendo l’articolo Diecimila diavoli e un arcangelo, ho pianto al cinema, guardando Genius, ho pianto persino mentre scrivevo l’inizio di questa newsletter. Amo Thomas Wolfe, lo scrittore, come credo lo possa amare soltanto un editor che ci vede dentro un talento immenso. Ma odio Thomas Wolfe, l’uomo, per le debolezze che ha dimostrato e per la sofferenza che ha causato a Perkins.
Perkins che, nella mia mente, è come una figura paterna, un nume tutelare degli editor: grande, gentile, appassionato, idiosincratico (dettava la sua personale punteggiatura, non era un bravissimo “speller”, leggeva molto lentamente e non si toglieva mai il cappello), autorevole ma non autoritario, compassionevole, e soprattutto dannatamente bravo a fare quello che faceva.
Maxwell E. Perkins è stato forse il primo editor nel senso moderno del termine, il primo a lavorare così tanto (parliamo di anni, anche) ai manoscritti (e agli autori) che decideva di pubblicare.
Dopo averlo “conosciuto”, ho capito che:
- l’istinto e la sensibilità letteraria sono fondamentali;
- un editor deve continuamente cercare nuovi talenti;
- se non fai fatica, non lo stai facendo bene;
- il libro appartiene sempre a chi l’ha scritto;
- bisogna incoraggiare un autore senza cercare di cambiarlo;
- per le cose buone c’è bisogno di tempo;
- anche gli editor sbagliano, ma molto raramente;
- gli scrittori sono brutte persone, ma bisogna sopportarli per un bene superiore: la letteratura.
Infine che un editor è un editor, e non uno scrittore mancato. Quando Madeleine Boyd, l’agente newyorkese di Thomas Wolfe per il romanzo Look Homeward, Angel, gli chiese: “Perché non comincia a scrivere lei? Ho la sensazione che possa scrivere molto ma molto meglio della maggior parte della gente che scrive”, Perkins rispose: “Perché sono un editor”.
Mic drop.
Se ti ho incuriosito e hai voglia di scoprire tutta (o quasi) la storia editoriale e personale di Thomas C. Wolfe e Maxwell E. Perkins, leggi l’articolo Diecimila diavoli e un arcangelo che ho pubblicato su Medium la scorsa settimana. Lì c’è anche una corposa bibliografia.
Alla fine del 2016, invece, dopo l’uscita di Genius nelle sale, ho scritto la newsletter Migliori o diversi, ispirata proprio dal film. La domanda è: l’editor migliora davvero un testo o lo cambia soltanto?
Cosa ne pensi?