Il 2015 ha portato con sé tante novità, equamente divise tra vita personale e lavorativa: un nuovo Mac, un nuovo studio, la collaborazione con Feltrinelli, il sito web e molto altro. In questo molto altro rientra anche l’editing del manoscritto Nothing in the Face of Heaven, l’ultimo romanzo (ancora inedito) di Francesca Petrizzo, autrice italiana che per Frassinelli ha pubblicato Memorie di una cagna, Il rovescio del buio e Nel sangue.
Quindi, mentre l’estate si apprestava a diventare un tiepido autunno, ho lavorato al mio primo editing in lingua inglese. È stato strano, stimolante, divertente e, come sempre, correggere un libro e interagire con l’autore mi ha arricchita, pur con milleottocentoquattro chilometri e un’ora di fuso orario a dividerci. A qualche settimana di distanza ho deciso di scrivere un articolo sul lavoro svolto, perché mi permette di mostrarvi un esempio concreto di content editing e mentoring.
Che cos’è il content editing
Questo tipo di editing si focalizza sul contenuto del manoscritto nel suo complesso, ma anche a livello di singola frase, paragrafo, capitolo, e tralascia indicazioni su forma, grammatica e lessico, che competono al copy editing. Un content editor lavora sulla struttura della storia e l’intreccio, la caratterizzazione dei personaggi, l’utilizzo del punto di vista, l’efficacia di dialoghi, descrizioni e scene.
Infine, lo stile riguarda sia il content sia il copy editing: la scrittura va continuamente controllata per la scelta delle parole da impiegare, tuttavia bisogna prestare attenzione anche a come questa veicola un certo messaggio o contenuto e se tono e registri linguistici si mantengono coerenti durante tutto l’arco narrativo.
Che cos’è il mentoring
Come ho spiegato brevemente nella pagina Editing, il mentoring assomiglia all’editing affiancato perché prevede allo stesso modo una revisione suddivisa per capitoli, quindi più puntuale e attenta, che permette uno scambio immediato tra editor e scrittore. Tuttavia col mentoring uno scrittore viene seguito da subito, ovvero dall’idea iniziale per il manoscritto fino al completamento dell’opera.
Il vantaggio è avere a disposizione un professionista con cui discutere qualsiasi dettaglio della propria storia (già dalla sinossi), e che riserva particolari attenzioni a intreccio e personaggi nella prima fase. A romanzo ultimato, infatti, è più difficile intervenire strutturalmente, qualora ce ne fosse bisogno.
What we talk about when we talk about Nothing in the Face of Heaven
Da fine agosto ho seguito come una seconda madre le avventure scolastiche e amorose di Alix Bligh, una ragazza inglese che ha da poco cominciato a frequentare il Corpus Christi College di Oxford. Qui incontra Ko Seung-hyun, uno studente al terzo anno, intelligente (non a caso studia anche filosofia) e bellissimo. Sfortunatamente Seung-hyun rivela opinioni piuttosto eccentriche sulle relazioni sentimentali e avvicinarsi a lui si dimostra un’impresa più ardua del previsto.
“But if Alix is determined to be with him, and all he can promise is pain, will her first love be a tragic one?”
L’importanza dell’incipit
Il romanzo prende avvio con l’arrivo della protagonista a Oxford: Alix è una ragazza normale, e sebbene sia intelligente non sarà mai la più intelligente del campus. Viene dalla provincia, è molto legata alla famiglia e Oxford rappresenta la prima, grande esperienza dell’età adulta: dovrà abituarsi alla vita all’università, conoscerne i luoghi, le tradizioni ma anche le contraddizioni e le insidie.
Già dalla prima stesura l’incipit si è rivelato problematico: come veicolare con efficacia i sentimenti di Alix, comprensibilmente spaventata, senza tuttavia dare al lettore un’impressione sbagliata sul suo carattere? Nel capitolo iniziale, Middle girl, veniva data particolare enfasi alla normalità di Alix, al suo non essere poi così speciale, come eroina, un po’ come la Catherine Morland di Northanger Abbey, che si ritrova a vestire i panni della protagonista pur senza soddisfare i requisiti minimi per esserlo.
Alix, invece, è quanto di più lontano da una anonima adolescente inglese, come l’intero romanzo lo è dalle storie d’amore con protagonista maschile problematico che ha bisogno dell’intervento salvifico di una donna cui una certa narrativa young e new adult sentimentale ci ha abituato.
Pertanto l’inizio è stato rivisto per migliorare la caratterizzazione di Alix e rendere la descrizione del personaggio più coerente con gli sviluppi successivi. A romanzo ultimato, poi, si è aggiunta un’altra considerazione sull’incipit: è abbastanza interessante? Oppure ci si dilunga troppo sul flusso di coscienza della protagonista? Potrebbe convincere un editor a continuare la lettura e valutare una possibile pubblicazione? Le selezioni delle proposte editoriali, infatti, vengono fatte a partire dalla sinossi e dalle prime venti / trenta pagine al massimo, quindi le prime impressioni sono fondamentali.
L’intreccio e la coerenza
In un mentoring, dopo aver discusso l’idea iniziale, si continua con la sinossi e la struttura dell’opera. All’inizio è l’autore stesso a dover prendere confidenza con la storia, con i personaggi e l’ambientazione per capire, poi, che direzioni e storyline seguire. L’editor testa l’efficacia dell’intreccio narrativo, si accerta che la coerenza non venga a mancare e discute con lo scrittore tutte le scelte.
“Good writing is about telling the truth.”
Anne Lamott
In questa fase – delicata e decisiva – è importante che ci sia perfetta sintonia tra editor e scrittore: non possono volere cose diverse o avere una diversa visione del manoscritto, il risultato potrebbe essere disastroso. Non di rado, parlando di alcuni snodi narrativi o del carattere di un personaggio, io e Francesca ci siamo ritrovate a trascrivere l’una esattamente il pensiero dell’altra. Eravamo già entrate nella storia, che non ci era più estranea e sconosciuta, e definire l’intreccio è stato molto più semplice.
Sinossi e scaletta sono importanti ma non è obbligatorio seguirle alla lettera come se fossero tavole della legge, perché la scrittura riserva sempre delle sorprese. Per esempio, nella sua primissima espressione, Nothing in the Face of Heaven aveva un prologo con un flash-forward: era Alix a parlare, alla fine della storia, anticipando al lettore la conclusione. Tuttavia le vicende si sono risolte con qualche capitolo d’anticipo rispetto a quanto previsto, così per non rovinare la sorpresa al lettore si è deciso di eliminare questa parte, seppur a malincuore.
Personaggi come persone
Vi svelo una verità sulla scrittura: nessun autore possiede la storia che racconta. Pur nella sua posizione privilegiata di narratore, deve compiere lo sforzo di conoscere i personaggi, come sono fisicamente, il loro carattere, come agiscono, come parlano, come si vestono, il loro background e la loro vita prima del racconto. Non li inventa, ma li “scopre” – come il resto della storia –, quindi non c’è spazio per scelte arbitrarie e mancanza di fedeltà. L’editor, per lavorare a un manoscritto e migliorarlo, deve fare lo stesso e procedere con la giusta cautela.
I personaggi sono “persone”: esistono e sono dotati di caratteristiche proprie, anche se nel manoscritto non tutto quello che l’autore ha scoperto verrà rivelato. Inoltre, quando necessario, bisogna saperli “uccidere” (metaforicamente o meno), senza cadere nell’errore di essere indulgenti oppure nell’eccesso opposto, che chiameremo Sindrome di George R.R. Martin. Il problema, the final problem, è sempre la coerenza.
“If you here require a practical rule of me, I will present you with this: Whenever you feel an impulse to perpetrate a piece of exceptionally fine writing, obey it—whole-heartedly—and delete it before sending your manuscript to press. Murder your darlings.”
Arthur Quiller-Couch
In Nothing in the Face of Heaven un personaggio muore davvero: ucciderlo è stato tutt’altro che semplice e anche la determinazione di Francesca ha vacillato. Quando è stata scritta la scansione dei capitoli, infatti, l’avvenimento non sembrava così tragico come poi si è rivelato. In queste situazioni l’autore è sommerso dai dubbi. La morte è davvero necessaria? Esiste qualche modo per salvare il personaggio, per cambiare la storia e sottrarsi al dolore della perdita? La risposta è no, se si vuole preservare l’integrità del manoscritto. Truth is beauty, dicevano, e non bisogna rinunciarvi per un lieto fine sbagliato.
La questione culturale
Il protagonista maschile, Ko Seung-hyun, è coreano. Studia a Oxford e parla perfettamente inglese, però non è nato nel Regno Unito e ha vissuto gran parte della sua vita in Corea. Una delle sfide di questo romanzo era riuscire a dipingerlo con realismo, senza scadere in stereotipi razzisti, e coniugare il suo carattere particolare con il retroterra culturale da cui proviene.
In Nothing in the Face of Heaven non troverete descrizioni che sottolineano quanto siano piccoli gli occhi di un asiatico (sì, altrove ho letto anche questo), o sulla particolare sfumatura della pelle. Ci saranno, invece, i dettagli, quelli che riveleranno, ai più attenti, lo studio minuzioso che ha preceduto e accompagnato la stesura del manoscritto. Scrivere di ciò che si conosce rimane sempre un ottimo consiglio.
Seung-hyun, però, non è l’unico coreano che Alix conosce. Il romanzo di Francesca è illuminato dalla presenza di Nam Young-jin – l’amico d’infanzia di Ko e l’unico, forse, che lo capisca davvero –, trapiantato a Londra per studiare BA Fashion alla Central St Martins. Non compare spesso, ma fin da subito appare già delineato, quel tipo di personaggio a cui serve poco spazio per farsi notare, apprezzare e poi amare.
All’inizio le interazioni con Alix sono deliziose, i dialoghi irriverenti, ma è solo nella seconda parte che Young-jin viene approfondito. Si scopre così un altro lato della sua personalità altrimenti frizzante e la sua presenza, che fa da contraltare a quella dell’amico, permette di rappresentare più sfaccettature della cultura coreana e, dettaglio non meno importante per l’economia della storia, mostra differenze caratteriali e di comportamento di Seung-hyun che altrimenti non sarebbero emerse.
Conclusione
“There is no real ending. It’s just the place where you stop the story.”
Frank Herbert
In Nothing in the Face of Heaven nessuna sofferenza è stata risparmiata al lettore. La buona notizia è che ci saranno dei seguiti (sono innamorata del titolo del secondo, da me modestamente suggerito), quindi potrete angosciarvi ancora a lungo.
Il lavoro sul testo, comunque, non è finito con il mio editing, perché a stesura ultimata il romanzo è stato mandato per una valutazione a una selezionata cerchia di contatti, tra cui qualcuno coreano. Volevamo essere sicure, ma proprio sicure, di aver lavorato bene. In seguito il romanzo è stato affidato alle cure di un agente letterario, che speriamo possa farlo approdare, davvero, anche in Corea del Sud.
Come ricorderò Nothing in the Face of Heaven? Come il romance con dialoghi interessanti e protagonisti che si parlano davvero e non si innamorano solo perché il narratore onnisciente ha deciso così.
L’autrice
Francesca Petrizzo is twenty-five. Italian, she has lived in England for five years. After studying history at Oxford and UCL, she’s a second year PhD student in Leeds. Words are her passion, her work, and her pastime.
Credo che questo articolo denoti diverse cose.
La prima, è la passione per il tuo lavoro, nonché l’entusiasmo che metti nei progetti che curi. Tant’è che, diciamolo, mi hai fatto venire voglia di leggere questo romanzo anche se di romance non ne leggo da eoni.
La seconda, è la tua capacità di spiegare in modo semplice meccanismi complessi.
Adoro articoli come questo, in cui si trasmette la forza della collaborazione e in cui emerge la personalità dei coinvolti: per questo credo siano articoli che hanno una potenzialità e una forza narrativa da non sottovalutare.
E ne vorrei ancora per lo stesso motivo, egoisticamente parlando, perché si impara molto da queste situazioni in cui, spesso, ci si può immedesimare.
Alessia, e non lo dico perché ci ho lavorato io, questo è un romance molto bello, che può piacere anche a chi non ama il genere. E i dialoghi sono indubbiamente la mia parte preferita: c’è davvero contenuto, ma non scadono mai nel didascalico. Insomma, l’autore, dietro, non si vede affatto. Quindi spero venga pubblicato presto, e bene!
Comunque grazie per il bellissimo commento, è la prima volta che parlo di un lavoro che ho svolto, ma dato l’entusiasmo devo per forza replicare!
Allora mi tieni aggiornata sull’uscita?
Mi hai messo tantissima curiosità! (^^)
Seguo con interesse il tuo blog, sia per la fascinazione (e il sospetto…?) verso il complesso mondo dell’editoria, sia per la passione personale che ho verso la scrittura, che però è sempre rimasta a mio avviso tra le mie mani come una voce intimista o al contrario come uno strumento giornalistico. Non credo proprio di aver raggiunto questo rapporto intelligente narratore-manoscritto della Petrizzo che emerge dal tuo articolo.
Forse hai già scritto un post simile ma mi piacerebbe leggere le tue opinioni su come un aspirante scrittore si appresti ad iniziare un manoscritto. Ad esempio, mi piacerebbe far convergere le idee, gli appunti e lo “stile” (non intendo metterci presunzione eh) ma ho paura di non essere in grado. Infatti la strategia del mentoring mi sembra molto efficace e ti dirò, mi attira. Ma del resto un autore ha delle scintille iniziali, giusto? O non sempre? Sono curiosa di sapere che ne pensi!
Volevo anche chiederti se hai mai letto Elisa Casseri (di cui mi sono innamorata). Lei è tutt’altro che un narratore anonimo ma anche su questo mi piacerebbe un tuo parere!
Comunque, grazie mille e scusa il pippozzo…
… buon lavoro!
Ciao Vittoria,
no, non ho ancora scritto un post simile, anche perché parlo molto poco di scrittura. Però me lo segno perché penso sia interessante. Mi vuoi spiegare meglio in che senso non riesci a far convergere idee, appunti e stile? Ti blocchi quando pensi a quello che vorresti scrivere oppure mentre lo stai già facendo (magari perché non ti piace quello che ne è uscito)? In generale gli approcci alla scrittura sono due (con sfumature intermedie): scrivere prima la sinossi, oppure scrivere di getto quello che viene.
Nel primo caso pensi prima allo sviluppo generale della storia (inizio, metà – climax, fine), a cui poi aggiungi tutte le parti che mancano. Alla fine scrivi quello che potremmo definire un riassunto dettagliato diviso per capitoli. Fatto questo, scrivi il libro avendo una traccia solida alle spalle.
Nel secondo caso, invece, rifletti sull’idea iniziale e scrivi subito dopo, quando hai in mente almeno le coordinate essenziali della tua storia (un personaggio, una ambientazione, un tempo, ecc), e vedi dove ti porta.
Ovviamente l’approccio può variare a seconda del genere letterario. Per esempio voler scrivere fantascienza senza una pianificazione alle spalle è forse un poco azzardato. Inoltre, tieni presente che la scrittura stessa è scoperta. Conosci meglio i personaggi, i loro pensieri, la loro storia, ecc, e potresti trovarti nella situazione di dover cambiare i piani che avevi stabilito.
La questione stilistica è molto soggettiva. È vero che un autore giovane e che ha appena iniziato non ha ancora una “voce” propria e autentica, ma serve tempo e moltissima pratica per trovarla e affinarla. E con la scrittura, poi, a dispetto di tutti i corsi “creativi” che si possono frequentare, non ci sono regole auree, quindi per imparare bisogna soltanto leggere moltissimo e poi scrivere, scrivere, scrivere.
Se hai un problema con la scrittura, scrivi e poi cerca di capire da quello che hai prodotto cosa non funziona.
Purtroppo no, non ho letto il romanzo della Casseri!
Figurati, e grazie a te per il lungo commento 😉
Alessandra